Autotrapianto FUE: cosa è e come funziona ogni fase
L’autotrapianto FUE (Follicular Unit Excision) è una tecnica di microchirurgia estetica che ha rivoluzionato il modo di affrontare la calvizie. A differenza dei metodi tradizionali, non prevede il prelievo di un’intera striscia di cuoio capelluto, ma l’estrazione diretta e selettiva delle singole unità follicolari da una zona donatrice – solitamente la nuca o le aree laterali – attraverso micro-punch di diametro millimetrico.
Il risultato? Un approccio meno invasivo, senza punti di sutura e con cicatrici quasi invisibili a occhio nudo. La vera innovazione della FUE sta nella possibilità di trattare ogni singolo follicolo come una risorsa preziosa, da prelevare con cura e reinserire seguendo l’orientamento naturale dei capelli. In questo modo si ottiene un effetto estremamente realistico, armonioso e personalizzato. Una differenza fondamentale rispetto alla tecnica FUT, che lascia una cicatrice lineare e richiede tempi di recupero più lunghi.
A chi è consigliato il trapianto di capelli FUE
Chi presenta una calvizie stabile, una buona qualità della zona donatrice e aspettative realistiche può essere un ottimo candidato per la tecnica FUE. Età, spessore del capello, colore e densità influiscono sulla resa estetica: capelli più spessi, mossi e vicini al colore della pelle garantiscono un effetto più coprente e naturale.
È importante che il paziente sia consapevole del fatto che la perdita di capelli può continuare nel tempo, e che il trapianto non è una soluzione isolata ma parte di un percorso più ampio, spesso supportato da trattamenti farmacologici per rallentare la caduta.
Anche la disponibilità a pianificare con lungimiranza è fondamentale: la FUE non va intesa come una correzione momentanea, ma come un investimento sul proprio aspetto futuro. Per questo, la selezione del paziente giusto è un passaggio delicato, che un buon chirurgo affronta con attenzione e trasparenza fin dal primo incontro.
Visita preliminare: cosa aspettarsi dal primo incontro con il chirurgo
Il primo colloquio con il chirurgo rappresenta molto più di una semplice valutazione tecnica: è il momento in cui nasce un progetto condiviso. Durante la visita, il medico osserva il quadro clinico, analizza la qualità della zona donatrice e ascolta con attenzione desideri e motivazioni del paziente. Ma soprattutto, fa chiarezza.
Sfata false aspettative, spiega cosa è possibile ottenere e costruisce un percorso su misura, basato su dati reali e obiettivi raggiungibili. È qui che si gettano le basi per un rapporto di fiducia: da un lato c’è la competenza del professionista, dall’altro la disponibilità del paziente a seguire indicazioni e tempi.
La progettazione dell’intervento: pianificare il risultato in modo realistico
Una volta raccolte tutte le informazioni cliniche e definito l’obiettivo del paziente, si passa alla vera regia dell’intervento: la progettazione. Qui il chirurgo, attraverso la propria esperienza, deve trasformare dati medici e aspettative estetiche in un piano concreto, preciso e su misura. Il punto di partenza è la valutazione della zona donatrice – in termini di densità e qualità dei capelli – e delle aree da rinfoltire. Da lì si calcola il numero di unità follicolari disponibili, si stabilisce come distribuirle sul cuoio capelluto e si definisce il numero di sedute necessarie.
Ogni decisione presa in questo momento influenzerà anche eventuali trapianti futuri. Per questo il chirurgo deve avere una visione d’insieme, che tenga conto dell’età del paziente, dell’evoluzione prevedibile della calvizie e della sostenibilità del risultato nel tempo.
Il paziente, dal canto suo, deve essere parte attiva: comprende le possibilità reali, valuta alternative e condivide con il medico le priorità. Solo così si costruisce un piano chirurgico che ha senso non solo per l’oggi, ma anche per il domani.
L’anestesia locale durante la FUE
L’anestesia locale è un passaggio fondamentale, progettato per garantire non solo assenza di dolore, ma anche condizioni ottimali per l’intervento. La sostanza più usata è la lidocaina al 2%, spesso combinata con adrenalina: la prima blocca la trasmissione del segnale doloroso a livello nervoso, la seconda agisce da vasocostrittore per limitare il sanguinamento e prolungare l’effetto anestetico.
L’anestesia viene infiltrata in modo graduale e strategico sia nella zona donatrice (generalmente nuca e aree laterali) che in quella ricevente. Si utilizza una tecnica chiamata tumescenza diluita, in cui l’anestetico è miscelato con soluzione fisiologica per aumentare il volume senza alzare la concentrazione, garantendo una copertura più ampia e sicura. Questo metodo permette anche di sollevare leggermente i tessuti, migliorando la visibilità e la precisione del prelievo.
In base alla sensibilità del paziente, si può prevedere una sedazione leggera per via orale o endovenosa, ma il paziente resta sempre cosciente, in grado di comunicare con il team medico. L’effetto dell’anestesia dura diverse ore, coprendo l’intera durata dell’intervento senza bisogno di ulteriori somministrazioni frequenti.
Il prelievo delle unità follicolari
L’area donatrice – solitamente la nuca e i lati della testa – viene analizzata con attenzione per capire dove si trovano i bulbi più forti, quelli geneticamente programmati per non cadere. È da lì che si parte.
Il chirurgo usa strumenti molto piccoli, i cosiddetti punch, con diametri inferiori al millimetro. Ogni gesto va calibrato: la profondità, l’inclinazione, la sequenza di prelievo. L’obiettivo è ottenere le unità migliori e allo stesso tempo, farlo senza lasciare segni evidenti e senza compromettere l’armonia della zona donatrice. Si lavora a mappa, alternando le aree di prelievo per mantenere un aspetto uniforme anche dopo l’intervento.
In alcuni casi, quando serve più materiale, si possono prelevare follicoli anche da zone come la barba o il torace, ma sempre con attenzione alla resa estetica. Una volta estratte, le unità vengono subito conservate in soluzioni specifiche che ne mantengono l’idratazione e la vitalità.
Conservazione e selezione dei follicoli
Una volta prelevate, le unità follicolari non vengono impiantate subito. Ogni follicolo viene accuratamente analizzato, selezionato e conservato in condizioni che ne mantengano integrità e vitalità.
Dopo il prelievo, i graft vengono immersi in soluzioni isotoniche avanzate, come l’Hypothermosol e l’ATP, progettate per proteggere le cellule dallo shock termico e dagli sbalzi metabolici. In questo modo si lavora per mantenerli biologicamente attivi e pronti a sopravvivere una volta reimpiantati. Questo passaggio, spesso affidato a un team specializzato, è essenziale per evitare sprechi e selezionare solo le unità realmente idonee all’innesto.
Contemporaneamente, le unità vengono catalogate in base al numero di capelli contenuti (mono, bi, tri-bulbari) così da poterle distribuire in modo strategico: quelle singole per la linea frontale, quelle più ricche per le zone centrali.
Creazione dei microfori
Una delle fasi più importanti di un trapianto FUE è la creazione dei microfori, ovvero le incisioni in cui verranno inseriti i follicoli. È in questo momento che il chirurgo imposta l’architettura del nuovo impianto pilifero, stabilendo direzione, inclinazione e profondità di ogni singolo innesto. È un lavoro di geometria millimetrica che deve tenere conto non solo dell’estetica, ma anche della biomeccanica del cuoio capelluto.
Ogni foro viene eseguito con strumenti specifici, generalmente bisturi o lame customizzate di diametro variabile (tra 0,8 e 1,0 mm), e la scelta dello strumento dipende dal tipo di capello, dalla zona ricevente e dalla densità desiderata. Ad esempio, nella linea frontale si utilizzano incisioni più strette e superficiali per unità monobulbari, mentre nelle zone centrali e sul vertex si impiegano microfori più ampi e profondi per ospitare innesti con due o tre capelli.
Anche l’angolo di inserimento è molto importante. Un capello impiantato in verticale in una zona dove la crescita naturale è orizzontale risulterà innaturale, visibile anche a distanza. Per questo il chirurgo studia attentamente la direzione originaria dei capelli residui, modellando ogni microforo affinché l’impianto si integri perfettamente con ciò che è già presente.
Inoltre, la distribuzione dei fori segue una logica tridimensionale che mira a ricreare l’irregolarità naturale della chioma. Una densità eccessivamente simmetrica o uniforme può generare un effetto “finto”, simile a quello di una bambola. Un bravo chirurgo alterna, sfuma, rompe le linee regolari per ottenere un risultato vivo, fluido, realistico.
Infine, anche la profondità del microforo influisce sulla salute dell’innesto: troppo superficiale, e il bulbo rischia di uscire; troppo profondo, e si compromette l’attecchimento o si creano microcisti.
L’innesto delle unità follicolari
Ogni unità follicolare, prelevata, selezionata e conservata con cura (definita graft), viene inserita una per una nei microfori precedentemente creati, utilizzando pinze microchirurgiche. Il gesto è delicato, quasi impercettibile, ma ogni movimento deve essere preciso al decimo di millimetro.
L’inserimento non può essere meccanico: serve una logica distributiva ben stabilità. Le unità con un solo capello vengono collocate nella prima linea frontale per imitare la crescita naturale; quelle con due o tre capelli vengono riservate alle zone più interne per garantire densità. È una composizione tridimensionale, costruita centimetro dopo centimetro.
Fondamentale è il rispetto dell’angolo e della profondità di innesto: se il follicolo viene inserito troppo superficialmente, rischia di non attecchire o di cadere precocemente; se troppo in profondità, si può danneggiare la struttura del bulbo o creare infiammazioni. Anche l’orientamento del fusto deve seguire quello dei capelli circostanti, per evitare disallineamenti che risultano innaturali, soprattutto in aree visibili come l’attaccatura frontale o le tempie.
Il chirurgo supervisiona ogni fase, ma l’innesto è spesso affidato a un team altamente specializzato, formato con rigore proprio per questa mansione. La coordinazione tra chirurgo e assistenti è fondamentale: occorre velocità per ridurre il tempo di esposizione del follicolo all’aria, ma anche calma e concentrazione per garantire l’integrità del trapianto.
Questa fase può durare ore, ma è proprio nella sua lentezza controllata che si costruisce la naturalezza del risultato.
Post-operatorio FUE
Una volta terminato l’intervento, comincia una fase fondamentale: il decorso post-operatorio. È in questi giorni che si decide buona parte dell’efficacia del trapianto, non solo dal punto di vista clinico, ma anche in termini di attecchimento e resa estetica. Nei primi giorni si formano delle micro-crosticine nei punti di innesto: non vanno rimosse forzatamente, perché sono parte del processo di guarigione. Andranno via da sole, generalmente entro 7-10 giorni.
Nei primi 3-4 giorni è fondamentale evitare sfregamenti, sudorazione e movimenti bruschi che possano alterare la stabilità degli innesti. Anche le attività sportive, l’esposizione al sole diretto o il contatto con l’acqua del mare o della piscina vanno sospesi per almeno due settimane. Il primo shampoo, di solito, viene effettuato in clinica per mostrare al paziente le corrette modalità di detersione.
Passata la prima fase, i capelli trapiantati cadono: è normale, fa parte della cosiddetta “fase di shock”. I follicoli restano attivi sotto pelle e iniziano a produrre nuovi capelli dopo circa 2-3 mesi. Il risultato finale richiede pazienza: la crescita completa si manifesta tra gli 8 e i 12 mesi.
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